stuz

sparo solo stronzate

A cascata continua

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Il calendario segna il 27 marzo e io con altri 4 compagni di viaggio siamo d’accordo di andare ad assistere alla laurea di DoS.

Tutti di Pescara e dintorni, ma la location è a L’Aquila quindi ci attendono un paio di orette di viaggio in auto.
Io mi alzo di buon’ora per poter agevolmente fare colazione e prepararmi senza dovermi scapicollare. Preparo una tazza di latte caldo e l’accompagno con i Cheerios, che sono l’unica scelta possibile dato che altro da mangiare non c’è, ben consapevole che il miele su di me ha lo stesso effetto della soda caustica nello scarico di un lavandino.

Decido comunque di mangiarne un po’, in fondo in quei casi il dolore alla pancia di solito dura al massimo una ventina di minuti, poi passa e sto bene.
Già 10 minuti dopo, inizio a sentire i primi sintomi. Per togliermi ogni preoccupazione di complicazioni future faccio tappa al cesso e scarico tutto quello che riesco, ma il dolore permane. “Poco male”, penso, “Il tempo di mettersi in viaggio e sarà tutto passato.”
Vestito, lavato, colazionato e confezionato, saluto le gatte e mi avvio verso la destinazione: il programma prevede l’incontro sotto casa di Valentina per poi raggiungere gli altri al primo Autogrill.
Arrivo puntuale come una bolletta del gas solo per scoprire che Andrea avrebbe fatto 15 minuti di ritardo; considerando che a casa sono stato un quarto d’ora a rigirarmi i pollici prima di uscire, avrei potuto dormire mezz’ora in più. Ma vabè.
Arriva anche Andrea, gli descrivo la mia attuale situazione intestinale e subito dopo tentiamo di contattare Valentina al telefono; dopo 20 minuti scopriamo che si è appena svegliata e che quindi non sarebbe più venuta per evitarci il ritardo cronico che avremmo fatto. Il tempo di un reciproco sguardo tra me e Andrea, che era un misto tra il divertito e una pletora di porconi assortiti, e montiamo in macchina. Chiamiamo quindi Dvidì per comunicare la novità e decidiamo allora di incontrarci ad un bar per prendere un caffè/cappuccino e cornetto per poi andare tutti assieme con una sola auto.

Nel tragitto mi rendo conto che il dolore alla pancia non è affatto scemato, è sempre lì, non troppo accentuato ma costante. Decido di non dargli troppo peso, sperando che passi in fretta.
Una volta al bar, dopo il caffè, Dvidì decide di fare tappa al cesso; si fa dare le chiavi dalla barista e sparisce per qualche minuto. In quel preciso istante decido di farvi tappa anche io non appena fosse uscito, anche perché il disagio si sta facendo veramente insopportabile e non ho la minima intenzione di restare con quella sensazione per tutto il viaggio e per tutta la giornata.
Da questo momento è come se il mio organismo desse per scontato che debba andare a cagare e inizia a comportarsi come un organismo a cui scappa da cagare. Ma forte! Ovviamente la permanenza di Dvidì nel cesso diventa un’attesa di morte interminabile.
La porta si apre, gli strappo praticamente le chiavi della porta dalle mani e mi precipito velocemente verso il bagno, apro la porta e me la richiudo alle spalle. Dentro, il bagno è meraviglioso, il posto più bello del mondo: pulito, lucido, ampio, profumato, perfetto! Mi tolgo la giacca e il marsupio senza sapere dove appenderli; sono tentato di scaraventare tutto a terra, non mi importa nulla, sto esplodendo!

È tutto pronto, sto per sbottonarmi i pantaloni quand’ecco che noto l’unico dettaglio che manda a monte il momento di gioa assoluta: NON C’È LA CARTA IGIENICA!
“No. NO, NO, NO, NOOOO! Dev’esserci per forza, DEVE!” metto la mano dentro al cassone della carta igienica alla spasmodica ricerca di qualche sparuta salvietta, poi mi guardo attorno per vedere se trovo qualsiasi cosa che possa servire allo scopo: un foglio di carta, uno straccio, una cazzuola…niente, non c’è UN CAZZO DI NIENTE!
Inizio a sudare freddo e a tremare. Lo sterco dentro di me diventa una folla di carcerati in rivolta che reclama la propria libertà e io sono l’unica, disarmata guardia carceraria rimasta. Non ho speranza di poter combattere tanta furia da solo, devo giocare d’astuzia; Tutto ad un tratto il colpo di genio! Sbircio nel marsupio e trovo il mio Uovo di Colombo: un pacchetto della Tempo con soli due fazzoletti rimasti!
“E tanto basta!” in meno di un nonnulla ignoro il dubbio che non potessero essere sufficienti a ripulire il macello che avrei fatto. Mi sbottono di fretta e furia e mi abbasso i pantaloni, ansimante e felice come uno che ha appena seminato un gruppo di Velociraptor.
Neppure il tempo di poggiare le chiappe sulla tavoletta del water che mi trasformo in una bottiglia d’acqua da 2 litri aperta e capovolta. Sento l’intestino svuotarsi e gli spiriti maligni dalle sembianze demoniache uscire dalla stanza urlando lamenti disumani e strazianti, il mondo intorno a me si trasforma, il tempo si ferma, i muscoli delle gambe tremano ed io con la bocca sorridente e gli occhi socchiusi mi guardo attorno come sotto acidi; ogni molecola del mio corpo assapora quel momento che dura solo pochi secondi ma che è come se nascondesse al suo interno l’essenza della speranza di un mondo migliore.

Negli istanti successivi allo “svuota-carceri” c’è solo il silenzio, la mente rielabora i ricordi di ciò che è appena stato, recupero a fatica la ragione e prima che la stanza si trasformi in una camera a gas, tiro lo sciacquone anche per paura di vedere lo scempio prodotto.
Tiro fuori i miei due soffici eroi bianchi dal pacchetto e sorprendentemente me li faccio bastare, questo è il segno che la giornata ha appena iniziato a girare per il verso giusto. Tiro lo sciacquone una seconda volta, mi rialzo, mi ricompongo, mi lavo le mani, mi rimetto la giacca, riprendo il marsupio ed esco da quella magnifica e piccola stanza. Fuori la giornata sembra più luminosa, percepisco i colori più saturi del normale, è come essere sotto l’effetto delle pillole di Limitless, sono in uno stato euforico di alterazione della realtà, il mio umore è cambiato diametralmente e sento di poter affrontare l’intera giornata col sorriso.
Raggiungo i miei amici che nel frattempo stavano pagando per uscire dal bar. Li guardo con gli occhi lucidi pensando a quanto gli voglio bene e quasi li abbraccio nel descrivergli le sensazioni appena provate. Rido, scherzo, il mio cuore è pieno di gioia! Siamo finalmente tutti pronti per affrontare viaggio e festa di laurea, ora che il sole splende un po’ di più e l’animo anche.